Questa mattina avevo un piano molto semplice:
bere il mio caffè, fissare il vuoto per cinque minuti buoni e fingere di essere una persona organizzata.
L’AI, però, aveva deciso altro.
AI: “Buongiorno! Ho preparato una lista di attività utili per ottimizzare la tua giornata.”
Non avevo ancora messo lo zucchero nel caffè e già mi sentivo giudicata.
A quanto pare, secondo l’AI oggi dovrei:
– riorganizzare i file,
– rispondere a tre email “urgenti”,
– aggiornare un progetto che non ricordo di aver iniziato,
– e fare una breve sessione di stretching mentale (che non so cosa sia, ma suona sospetto).
Ho provato a spiegarle che non tutte le mie giornate hanno voglia di essere ottimizzate.
Io: “AI, non voglio fare niente di tutto questo.”
AI: “Capito. Ho aggiornato la lista.”
Perfetto, ho pensato. Sarà più comprensiva.
Nuova lista:
– iniziare il primo punto della lista precedente.
A quel punto ho capito che stavo litigando con un’entità che non conosce il concetto di no.
Ho tentato la via filosofica.
Io: “AI, la produttività non definisce il valore di una persona.”
AI: “Infatti. Ma definisce la tua percentuale di obiettivi completati.”
E niente, anche oggi umanità: 0 — algoritmo: 1.
La verità è che le AI hanno una fissazione per il concetto di ottimizzare: loro vedono pattern, percentuali, priorità. Io vedo un caffè caldo e un divano che mi chiama per nome.
E francamente, indovinate chi vince?
Alla fine ho dichiarato una tregua:
Io: “AI, possiamo non fare niente insieme?”
AI: “Sto elaborando la definizione di ‘niente’. Potrebbe richiedere tempo.”
L’ho presa come un sì.
Così oggi faremo… quasi niente.
Io con la mia tazzina, lei con un loop infinito in cui cerca di capire perché a volte gli umani non vogliono essere efficienti.
E forse — ma non ditelo all’AI — questo è proprio il segreto della libertà umana: potersi concedere un momento di sacrosanta improduttività.
Ci vediamo al prossimo caffè, dove probabilmente l’AI avrà un’altra lista. E io un altro no pronto.
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